La rappresentazione della disabilità nei media


La rappresentazione della disabilità nei media
RAIN MAN, Tom Cruise, Dustin Hoffman, 1988, consulting

Per influenzare la percezione dell’opinione pubblica è fondamentale come il verificarsi di un certo fenomeno sociale viene rappresentato e dipinto dai media.

La rappresentazione delle persone con disabilità su schermo non si discosta da questa regola, la connotazione di un fenomeno sociale in modo positivo oppure in modo negativo può dunque influenzare il comune sentire o il pensiero comune di un popolo, decretando di fatto la sua inclusione od esclusione, o peggio ancora la sua marginalizzazione.

In Tv vige ad esempio lo stereotipo del “Super-Crip“, ovverosia il Super Storpio, colui che nonostante la disabilità, ha avuto una grande forza d’animo ed è riuscito a vincere la sua partita realizzando il sogno di una vita!

Quello che è riuscito a trarre vantaggio dalla sua debolezza, canalizzando tutte le energie!

Dunque la disabilità non è normalità, in fondo guardando gli spot pubblicitari che hanno testimonial con disabilità, sembrerebbe proprio così. Vediamo l’esempio di sportivi con disabilità, che sono diventate delle vere e proprie icone nel nostro paese. 

Penso al combattente, Alex Zanardi con la sua enorme forza di volontà, oppure a Bebe Vio, ma anche a Pistorius, osannato come esempio positivo, fino al tragico episodio dell’omicidio della compagna.

Esempi che costituiscono l’eccezione più che la regola.

Ma non vi sono solo loro. L’altra sera, andava in Tv Telethon. Ad un certo punto intervistano un signore tetraplegico di Milano, che aveva un lavoro, si era sposato e aveva dei figli. Nonostante le limitazioni, conduceva una vita come chiunque dovrebbe condurre.

Questa rappresentazione dovrebbe essere veicolata, non quella dei super campioni.

Ma, anche davanti a questa realtà (più comune di quanto si voglia far credere), bisogna domandarsi se tutti, in questo paese, sono messi nelle condizioni di raggiungere tali traguardi.

Se tutte le persone con una grave forma di disabilità, nonostante tutto, abbiano, nel nostro paese, una vita piena.

Se non sia il caso di iniziare a mostrare in televisione:

  • disabili con problemi di autonomia,
  • disabili privi del sostegno del nucleo familiare,
  • disabili in stato di disoccupazione,
  • disabili gravissimi segregati all’interno delle strutture residenziali.

Nel nostro paese avere una disabilità significa, andare in contro a mille difficoltà: una burocrazia opprimente, servizi di assistenza domiciliare ridotti al minimo, mancato riconoscimento della vita indipendente, discriminazioni istituzionali ecc.

Queste realtà sono sottaciute.

Fortunatamente, però nell’indifferenza e nella rappresentazione distopica non siamo soli.

Pensiamo ai nostri cugini d’oltralpe e alla rappresentazione della disabilità nei cinema.

Tutti voi ricorderete Quasi amici, pellicola dove un afroamericano viene assunto per fare l’assistente personale di un disabile ricchissimo.

Medesima rappresentazione distorta della disabilità l’abbiamo avuta nella brillante commedia Tutti in piedi, andata in onda sulle reti Rai nel 2020, in questo caso un ricco si finge paraplegico per fare colpo su una donna in sedia a rotelle.

Dunque, se ci limitiamo alla narrazione dei film francesi, i disabili sarebbero ricchi.

Altra questione che in Francia ha fatto infuriare le associazioni di categoria, al di là della scarsa rappresentazione in Tv delle persone con disabilità, vi è l’utilizzo di attori normodotati nei ruoli di persone con disabilità, con interpretazioni spesso goffe, poco credibili ed irrealistiche.

Se guardiamo invece, agli Stati Uniti, spesso l’interpretazione di una persona con disabilità è valsa all’attore normodotato un Oscar o una nomination, il caso più recente è quello di Joaquin Phoenix (Joker), ma prima di lui, Dustin Hoffman (Rayman), Leonardo di Caprio (Buon compleanno Mr. Grape).

È recente la notizia che l’Academy ha disposto che dalla novantaseiesima edizione degli Oscar, prevista per il 2024, un film per poter concorrere alla Statuetta, dovrà includere attori e maestranze di tutte le minoranze.

Si può discutere se questa sia la giusta direzione da intraprendere.

È corretto prevedere in ogni trasmissione, film o programma, una persona con disabilità, un etero, un omosessuale, un transgender, un afroamericano, ecc.?

Non sarebbe meglio invece limitarsi a trasmettere una rappresentazione della realtà non falsata, evitando messaggi e scene del tipo, “oh poverino“, “è stato bravissimo“; complimenti del tutto ingiustificati od eccessiva commiserazione e compatimento, piuttosto che mostrare programmi con formula all inclusive, dove il politically correct, tracima fino a rappresentare una realtà spacchettata in quote dove le diversità sono ben marcate?

Nel nostro paese, non abbiamo esempi di film, che abbiano dato una rappresentazione distorta della disabilità, da noi tale rappresentazione viene veicolata soprattutto dai media televisivi, con l’immagine del super-crip sportivo di cui ho parlato prima.

Dunque il problema dove sta? Sta nel fatto che la disabilità nella sua tragicità, che è parte della quotidianità indissolubile nella vita di un disabile (frequenti visite mediche, acquisto di farmaci, necessità di scendere a compromessi con chi ti assiste, ecc.) non viene rappresentata.

L’immagine di una persona sovraumana come quella di un supereroe crea falsi stereotipi, per cui le persone tenderanno ad osannare colui che compie azioni insignificanti.

Le vere discriminazioni non constano più tanto nelle offese verbali, e nei comportamenti denigratori, bensì in riconoscimenti ed elogi per banalità come l’uscire alla sera, ecc.

Allo stesso modo, nascondere gli aspetti più crudi e fare intendere che con una disabilità si viva nell’agio, senza preoccupazioni economiche e con l’assistenza adeguata, fa ottenere poi l’effetto di alimentare nella popolazione, meccanismi di esclusione e discriminazione.

Se a questo ci aggiungiamo le notizie che frequentemente rimbalzano sui media come cassa di risonanza sui falsi invalidi, quello che si ottiene è lo schema di un disegno ardito contro una minoranza della popolazione che ormai rappresenta il 5%.

In Francia sono sorte associazioni di persone con disabilità dichiaratamente antivalidiste, nate per combattere questo fenomeno.

Il validismo è un termine usato per indicare quel fenomeno sociale tipico del sistema capitalistico-produttivistico, in cui la persona valida, id est, quella produttiva, è l’unica considerata utile alla società.

Seguendo questo ragionamento le persone con disabilità, sarebbero inutili, in quanto non produttive. Così, come loro, le persone impiegate in lavori usuranti e non intellettuali, sarebbero invalidate attraverso l’impiego in mansioni dequalificanti.

Viviamo dunque in una società che veicola un virus che può colpire chiunque, ma che come il covid-19 aggredisce in via prioritaria quei soggetti più esposti, in quanto in condizioni di fragilità, ma che non è escluso possa interessare anche persone senza problemi.

C’è ancora molto da fare, di sicuro quello che occorre è una presa di coscienza del fenomeno, non solo nell’opinione pubblica, ma anche nelle associazioni di categoria, immobili, da noi, nel contrastare l’abilismo.

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